By Emma Ghirardelli, 5B ITE

Negli oceani c’è così tanta plastica da spingere gli scienziati a credere che rimuoverla del tutto sia un’impresa non realizzabile. In effetti, se si pensa che nel mare finisce l’equivalente di un camion pieno di plastica ogni minuto, è facile rendersi conto delle dimensioni del fenomeno. Il simbolo del problema, casomai ce ne fosse ulteriore bisogno, è diventata nell’immaginario comune la gigantesca isola di rifiuti nell’Oceano Pacifico.A impattare sull’ambiente marino, tuttavia, non c’è solo la plastica, ma anche altri fattori. In particolare la costruzione di dighe artificiali, sempre più frequente negli ultimi decenni a causa della crescente urbanizzazione che provoca modifiche all’ecosistema circostante. Nei dintorni di Sidney, in Australia, metà della costa è stata trasformata in diga artificiale: la conseguenza è stata la distruzione della giungla di mangrovie (una formazione vegetale che si sviluppa sui litorali bassi delle coste marine tropicali, in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea) lì presente. Insieme alle mangrovie è stata danneggiata anche tutta la vita marina e costiera che risiede dentro le radici di queste piante, che di esse si nutre, e che ha un effetto purificatore sull’acqua poiché molti organismi consumano tossine, sostanze chimiche e particolato provocati dell’inquinamento causato dall’uomo.
Plastyx: come i batteri possono distruggere la plastica in mare.
“Se il tuo nemico è piccolo, combattilo con qualcosa di piccolo.” Questa è la strategia ideata l’anno scorso da un gruppo di otto studenti dell’Università di Harvard per liberare gli oceani dalle particelle di plastica. Lavoreranno con un gigantesco esercito di minuscoli aiutanti: i batteri. Sotto la guida dei loro professori, gli studenti hanno geneticamente modificato i batteri di Escherichia coli in modo che possano decomporre il PET, un inquinante plastico particolarmente diffuso, riuscendo persino a generare energia durante tale processo. Per assicurarsi che la situazione sia sotto controllo, i batteri sono tenuti in un contenitore dotato di una batteria e di un trasmettitore GPS. I contenitori vengono quindi liberati in modo che galleggino negli oceani, trasmettendo la loro posizione e informazioni sulla quantità di plastica presente nelle acque in cui si trovano.
Plastyx: come i batteri possono distruggere la plastica in mare.
Questo progetto è arrivato primo ad un concorso l’anno scorso e alcuni degli studenti coinvolti stanno ora sviluppando ulteriormente l’iniziativa con il nome di plastyx. “Al posto dell’energia elettrica, ora vogliamo iniziare a produrre delle biomolecole: sono molto più preziose e ci daranno la chiave per la futura autosostenibilità finanziaria del progetto”, spiega Daniel Ulm, uno studente di biotecnologia tra i fondatori di Plastyx. I promotori di questi progetti stanno cercando di sviluppare dei batteri in grado di utilizzare la microplastica per produrre proteine speciali e una serie di altre molecole che potrebbero essere utili alle aziende biotecnologiche o ai dipartimenti di ricerca universitari e ospedalieri. In caso di successo, Plastyx avrà trasformato un problema in una situazione da cui c’è solo da guadagnare: non solo verrà allentata la pressione sulla biosfera marina, ma lo smaltimento dei detriti di plastica produrrà sostanze utili per la ricerca e per impieghi in campo medico.